Una storia d'amore
Come una festa di nozze... – «La parabola che abbiamo ascoltato ci parla del Regno di Dio come di una festa di nozze (cfr Mt 22,1-14). Protagonista è il figlio del re, lo sposo, nel quale è facile intravedere Gesù. Nella parabola, però, non si parla mai della sposa, ma dei molti invitati, desiderati e attesi: sono loro a vestire l'abito nuziale. Quegli invitati siamo noi, tutti noi, perché con ognuno di noi il Signore desidera "celebrare le nozze". Le nozze inaugurano la comunione di tutta la vita: è quanto Dio desidera con ciascuno di noi. Il nostro rapporto con Lui, allora, non può essere solo quello dei sudditi devoti col re, dei servi fedeli col padrone o degli scolari diligenti col maestro, ma è anzitutto quello della sposa amata con lo sposo. In altre parole, il Signore ci desidera, ci cerca e ci invita, e non si accontenta che noi adempiamo i buoni doveri e osserviamo le sue leggi, ma vuole con noi una vera e propria comunione di vita, un rapporto fatto di dialogo, fiducia e perdono.
Questa è la vita cristiana, una storia d'amore con Dio, dove il Signore prende gratuitamente l'iniziativa e dove nessuno di noi può vantare l'esclusiva dell'invito: nessuno è privilegiato rispetto agli altri, ma ciascuno è privilegiato davanti a Dio. Da questo amore gratuito, tenero e privilegiato nasce e rinasce sempre la vita cristiana» (P. Francesco, Omelie - 15.10.2017).
Il rischio dell'umana libertà – «Ma il Vangelo ci mette in guardia: l'invito però può essere rifiutato. Molti invitati hanno detto no, perché erano presi dai loro interessi: "non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari", dice il testo (Mt 22,5). Una parola ritorna: proprio; è la chiave per capire il motivo del rifiuto. Gli invitati, infatti, non pensavano che le nozze fossero tristi o noiose, ma semplicemente "non se ne curarono": erano distolti dai loro interessi, preferivano avere qualcosa piuttosto che mettersi in gioco, come l'amore richiede. Ecco come si prendono le distanze dall'amore, non per cattiveria, ma perché si preferisce il proprio: le sicurezze, l'auto-affermazione, le comodità... Allora ci si sdraia sulle poltrone dei guadagni, dei piaceri, di qualche hobby che fa stare un po' allegri, ma così si invecchia presto e male, perché si invecchia dentro: quando il cuore non si dilata, si chiude, invecchia. E quando tutto dipende dall'io – da quello che mi va, da quello che mi serve, da quello che voglio – si diventa pure rigidi e cattivi, si reagisce in malo modo per nulla, come gli invitati del Vangelo, che arrivarono a insultare e perfino uccidere (cfr v. 6) quanti portavano l'invito, soltanto perché li scomodavano» (P. Francesco, Omelie - 15.10.2017).
«La tua parola, Signore, ci ha ricordato
che ci sono impegni importanti e irrinunciabili che toccano il cuore della nostra vocazione
e cose marginali, incapaci di dare un senso serio alla vita.
Aiutaci a capire che la vera fedeltà alla tua parola ha bisogno di un serio discernimento
e del coraggio di rinunciare anche a ciò che può sembrare più necessario
per realizzare la verità della nostra umanità. [...]
L'Eucaristia che celebriamo, Signore, ci ricorda
il banchetto della nuova fraternità a cui chiami tutti gli uomini.
La bellezza di questo invito ci liberi dall'illusione delle cose che sembrano più importanti.
Fa' che non scambiamo la grande speranza che cambia la vita degli uomini
con le miopi speranze dei nostri progetti umani.
Signore, la comunione a cui ci hai chiamati non sia solo l'immagine sbiadita
della fedeltà a una pratica religiosa, ma realizzi di fatto, nella nostra vita e nella Chiesa,
la fraternità di tutti gli uomini che la tua parola ci propone»
(P. Buschini, Quando la Parola scalda il cuore...)